L’ansia da prestazione è figlia dell’eccesso di competitività e l’attività sportiva, teoricamente, dovrebbe insegnarci a controllarle tutte e due.
L’ansia da prestazione non fa danni solo nello sport ma anche e soprattutto nel mondo del lavoro ed in altri ambiti sui quali non posso soffermarmi altrimenti i miei amici si spaccano gli addominali dalle risate a leggermi e comunque, tragicomica o meno, è risaputo che l’ansia da prestazione faccia danni dappertutto.
Soffermandoci solo su lavoro e sport, che sono già due cose colossali, si può tranquillamente dire che un lavoratore che è alle dipendenze di un altro che soffre di ansia da prestazione e pertanto infligge una competitività esagerata nell’attività lavorativa ha un datore di lavoro pessimo e come tale andrebbe lasciato solo alle sue paturnie. Purtroppo molti di noi il datore di lavoro non se lo scelgono, ce l’hanno tra i piedi e devono tenerselo quasi fin che campano e questa non è per niente una bella cosa. Diciamo che sarebbe bello per tutti potersi scegliere il datore di lavoro ed essere alle dipendenze di un “capo” che non ti trasmette ansia da prestazione ma fiducia e solidarietà è un gusto, ti viene quasi voglia di lavorare di più di quello che è necessario.
Altra opzione, purtroppo molto difficile in Italia, è quella di non avere capi. Di essere padroni del proprio lavoro, in poche parole imprenditori e non dipendere proprio da nessuno. In tale situazione malauguratamente è lo Stato a diventare nemico e tiranno nel senso che ti bombarda con una miriade di tasse che sono tanto più soffocanti quanto più è piccola è la tua azienda. Ti salvi solo se hai una multinazionale, allora in quel caso puoi evadere il fisco quanto vuoi che hai mille scappatoie lecite e non lecite, tutte ugualmente percorribili senza problemi.
Essenzialmente per disinnescare l’ansia da prestazione bisogna agire sull’eccesso di competitività e riuscire a contenerlo.
Gli obiettivi aziendali troppo elevati sono una spada di Damocle così come i risultato agonistico troppo pretestuoso per l’atleta. E’ opportuno avere obiettivi facilmente raggiungibili che possono anche essere rettificati verso l’alto in corso d’opera. E’ altresì opportuno che eventuali obiettivi che si dimostrano difficili da raggiungere possano essere tempestivamente rettificati nel momento in cui ci si accorge che l’impegno necessario per raggiungerli è troppo elevato.
Insomma la variabile indipendente deve essere l’impegno del lavoratore non l’obiettivo aziendale. Posto che il lavoratore può lavorare tot., che l’atleta può allenarsi tot., si vuole vedere che obiettivi aziendali, che risultato sportivo, si può ottenere con quel tipo di impegno.
Se adottiamo il criterio opposto allora l’ansia da prestazione rischia di comandare sovrana perché non sapremo mai quanto lavoro ci può costare un certo obiettivo aziendale, non si sa mai quanto ci dovremo allenare per prepararci per l’ottenimento di un certo risultato agonistico.
L’ansia da prestazione la respiriamo anche sulle nostre strade, soprattutto nelle grandi città ancora più caotiche di quelle di piccole e medie dimensioni. La respiriamo quando ad un semaforo se non schizziamo con tempi di reazione degni di un Jacobs o di un Ceccarelli c’è sempre qualcuno dietro pronto a suonare il clacson. In realtà quella fretta fottuta dovrebbero averla solo le autoambulanze sulle quali viaggiano persone per l quali un secondo in più o in meno potrebbe voler dire questione di vita o di morte. Molti invece si sentono autisti di un’ambulanza pur essendo lavoratori che non dovrebbero avere nessun tipo di ansia
.Il controllo dell’ansia da prestazione in realtà consente di lavorare molto meglio e alla fine anche con rendimenti più elevati per il semplice motivo che il lavoro diventa più piacevole e meno pesante e così, anche nello sport l’atleta che si allena con ritmi meno asfissianti dura di più, impara di più e acquista sempre più consapevolezza delle proprie capacità fisiche riuscendo a gestirle meglio e riuscendo anche a prevenire gli infortuni.
E’ proprio lo sport l’ambito dove si può sperimentare con successo una strategia per il contenimento della pulsione agonistica e, conseguentemente, dell’ansia da prestazione. Lo sport è proprio quel gioco nel quale ci si diverte a modulare quella pulsione e se questa è troppo bassa va aumentata altrimenti il gioco diventa noioso. Vanno evitate le tipiche attività amatoriali troppo precoci: a 20-25 anni nessun atleta dovrebbe essere definito un amatore, è una noia mortale, a quell’età stai andando al massimo e nessun impedimento sociale deve toglierti il tempo per poter andare al massimo, tanto meno fantomatici inopportuni elevati obiettivi professionali che hanno la possibilità di essere raggiunti ben più in là con l’età a 40, 50 o anche a 60 anni.
Così nelle attività sportive un po’ esasperate è importante saper modulare nel giusto modo la tensione agonistica in primis per salvare la carriera sportiva perché se ti logori dietro a obiettivi troppo elevati duri ben poco e poi perché se non impari a modulare lo stress nello sport difficilmente ci riuscirai poi nell’attività lavorativa dove le pressioni sono ben più elevate e provenienti da più parti.
C’era una bella canzone di Morandi, Tozzi e Ruggeri che ripeteva “Si può dare di più”. Come canzone ci poteva pure stare e ha fatto anche successo. Nella vita se ci si tiene alla salute, a lavorare bene senza contagiare nessuno con lo stress e pure nello sport se si vuole avere una buona carriera agonistica che non duri solo pochi anni si può dare anche molto di meno. Non c’è assolutamente da vergognarsene e poi alla fine risulta anche la strategia migliore per dare di più, Come hanno cantato (e giustamente cantano ancora perché evidentemente non si sono stressati più di tanto…) Morandi, Tozzi e Ruggeri.