Posto che se l’importante è la salute (e non vedo perché non dovrebbe esserlo…) un elevato grado di competitività deve sempre essere visto con occhio critico perché è pure possibile che non sia per niente salutare, qualche atleta sprovveduto potrebbe pure dire “Della salute non me ne frega proprio nulla, io voglio solo trovare tutti gli espedienti possibili per offrire il miglior rendimento sportivo possibile”.
Un ragionamento così è scriteriato ed è quello che poi porta all’abuso di farmaci nello sport, piaga assolutamente insanabile con l’attuale istituto dell’antidoping che si è rassegnato a perseguitare gli atleti di serie B lasciando quelli di alto livello assolutamente omertosi e praticamente intoccabili.
Lasciamo perdere la piaga del doping e vediamo perché anche senza considerare quello a volte un eccesso di competizione è decisamente inopportuno anche per chi ha l’ambizione di emergere su tutti gli altri.
Partiamo da distante, dalla scuola, fulgido esempio di spreco gratuito di competitività senza risultati. Qualche “rivoluzionario” sostiene che la scuola è strutturata così perché non c’è nessuna voglia di cambiare la società e si ha paura che degli studenti che si mettono a studiare davvero maturino la presunzione di voler cambiare questa società in pochi anni.
In effetti, a pensarci bene, potrebbe pure essere così. Se i giovani capiscono davvero a fondo le dinamiche del nostro sistema economico potrebbero essere tentati di contestarlo. Una scuola di contestazione non fa comodo a nessuno, da fastidio a tutti e non si vuole assolutamente farla nascere. Ecco che l’eccesso di competitività tenuto in piedi con il sistema delle valutazioni ci serve per tenere questo tipo di scuola fedele a sé stessa. E’ una scuola che non ha possibilità di evolversi, ingessata e dove lo studente non ha tempo per studiare davvero ma va solo dove è orientato per superare di volta in volta i vari esami (verifiche, esami, tappe comunque imprescindibili di uno studio pilotato) che si susseguono a ritmo stordente impedendo allo studente di analizzare la realtà scientifica a 360°. A scuola c’è la scienza di stato, inutile negarlo, non a caso l’insegnante che si discosta dai programmi ministeriali viene richiamato subito all’ordine.
Il balzo dalla scuola allo sport è terribile ma non impossibile. Anche nello sport c’è uno spirito decisamente ipercompetitivo anche se forse, per fortuna, meno accentuato che nella scuola (non a caso io dico sempre che bisogna trasferire la competizione dai banchi di scuola ai campi sportivi…).
Anche nello sport, strano a dirsi, l’eccesso di competizione fa danni ed è il principale fattore di abbandono della pratica sportiva nei giovani adolescenti. Pensiamo per esempio al grande calcio, un settore che per come è strutturato ci invidiano in tutto il mondo. A livello di bambini il calcio funziona in modo splendido, si può forse quasi dire che ci sono più bambini che giocano a calcio che bambini che vanno a scuola e anche se la cosa non è del tutto vera ci fa capire come a livello maschile sia più facile dire “Perché non giochi a calcio?” che non “Perché giochi a calcio?” Chiedere ad un bambino italiano “Perché giochi a calcio” è un po’ come chiedergli “Perché vai a scuola?…” Che traslato alle femmine, per bontà del movimento pallavolistico femminile, è un po’ come chiedere ad una bambina italiana “Perché giochi a pallavolo?”. Insomma sono quelle cose nelle quali il quesito non va nemmeno posto, rientrano nella normalità.
Non altrettanto succede attorno ai sedici, diciassette anni quando il quesito dovrebbe essere “Perché hai già smesso con il calcio (o con la pallavolo)?” e lì c’è una insidiosissima cosa “naturale” che non è per niente naturale che fa più o meno così: “Eh, siccome non ero particolarmente talentuoso ho deciso di dedicare più tempo alla scuola dove avevo qualche problemino.”
E questo è peccato grave di tutto il mondo sportivo italiano e a mio parere la frittata andrebbe rigirata ma questa sarebbe la vera rivoluzione non solo del mondo sportivo italiano ma dell’intera società. Se lo sport è importante, perché è importante la salute ed un certo tipo di sport vero e non finto è determinante per un certo tipo di salute e anche per tenere un certo equilibrio psichico allora la risposta, sconcertante, rivoluzionaria, folle e del tutto inaccettata nella nostra società potrebbe essere “Purtroppo quest’anno non ho molto tempo per studiare a casa e devo stare molto attento nell’assimilare al massimo le nozioni apprese in classe perché poi a casa ho giusto giusto il tempo per arrabattarmi con gli allenamenti sportivi che ho dovuto un po’ intensificare perché sono un po’ indietro visto che non è che sia un talento eccelso. Insomma è proprio perché ho qualche problemino con il rendimento sportivo che devo dedicare più tempo allo sport, non per andare alle Olimpiadi perché se sono più indietro degli altri probabilmente alle Olimpiadi non ci andrò proprio mai ma per la mia salute ho bisogno di dedicare più tempo alla pratica sportiva visto che il mio fisico sonnecchia e reagisce più lentamente di quanto reagisca quello dei miei compagni.
A chi va male in matematica non dici di lasciar perdere tanto è asino e non ha speranza, gli suggerisci di provare ad applicarsi con calma, senza affanno anche se sa che all’otto non ci arriverà mai, si spera che arrivi al sei quello è il suo traguardo, ma occorre tempo e pazienza. Nello sport è la stessa cosa, se il tuo fisico non reagisce abbandona pure il progetto di andare alle Olimpiadi ma non mollare lo sport altrimenti ti trovi a 25 anni che invece di essere splendidamente nell’età del massimo rendimento hai il fisico come quello di un quarantenne rilassato da birra e televisione.
Allora viene il sospetto che l’eccesso di competizione venga tenuto su ad arte per scremare un mondo sportivo eccezionale che se portato avanti negli anni ci creerebbe enormi problemi di impiantistica sportiva e che creerebbe un nuovo modo di intendere la società dove la speranza di una vita dignitosa e salutare non è una fortunata opzione ma un diritto. Insomma se fai sport fin che campi e non solo da bambino la giornata di lavoro da dieci ore non esiste più e alla fine si scopre che siamo pure costretti a cambiare sistema economico. A quel punto lo straordinario che ti toglie il tempo per tenere in piedi una sana pratica sportiva non lo fa più nessuno e va a finire che il danaro non ha più l’importanza colossale che ha nella nostra società perché vi sono alcuni valori che vanno oltre quali l’equità sociale e il senso di solidarietà. Nessuno sportivo trascura il rivale che arriva al traguardo malconcio e non va in spogliatoio fin tanto che non si accerta che il rivale si sia ripreso. Nella società civile accade proprio il contrario: pensa a salvarti in qualche modo poi se gli altri cadono sotto i colpi del sistema sociale iniquo pazienza, affari loro.
Insomma il vero spirito sportivo è decisamente rivoluzionario e poco di moda nella nostra società ed è mediamente meno competitivo di quanto lo sia disperatamente la nostra società dove un gesto alla Francesco Panetta che si ferma a dare una mano al collega Lambruschini malamente rovinato sulla riviera è cosa impensabile più che rara.
Paradosso dello sport: insegna ad ottimizzare la competitività più che ad esasperarla. E’ per quello che dovremmo praticare sport per tutta la vita e non solo fino ai sedici anni o, al limite a corrente alternata come avviene in molte situazioni dove la vita ti stritola a più riprese il tempo libero.