“il prossimo che fa uno sciopero per Greta lo boccio…” e abbiamo perso una grandissima occasione per rifondare la scuola italiana. In didattica a distanza: “Si bendi gli occhi così siamo più sicuri che non guarda il lbro…” e abbiamo perso un’altra grande occasione per ripensare questa scuola perché se pensi che sia sufficiente guardare il libro per risolvere tutti i problemi hai ingenuamente ammesso che come insegnante sei del tutto inutile, non le hai insegnato niente, le basta il libro.
Occasioni per rivedere questa scuola arcaica ce ne sono molte ma nessuno ci pensa in modo convinto. Hanno tutti paura. Gli insegnanti di perdere il posto di lavoro, gli allievi di essere bocciati in una scuola che non ammette “disobbedienti”, i genitori che hanno paura di perdere il ruolo di genitori e possono controllare solo una scuola fatta dagli insegnanti e non certamente una reinventata dagli studenti. Eppure siamo tutti vittime di questa scuola che insegna gran poco, che conta ancora meno, che non informa il mondo del lavoro ma lo subisce passiva e che ha gran poche possibilità di rinnovare una società stanca, poco dinamica e ancora affidata alle decisioni della vecchia politica più che alle idee dei giovani.
Lo sport viaggia sulla stessa lunghezza d’onda, non si rinnova, subisce la scuola nello stesso modo in cui la scuola subisce lo stress del mondo del lavoro.
Il fatto più grave è l’eliminazione della nazionale di calcio dai mondiali non il fatto che molti, troppi ragazzi abbandonino lo sport già verso i sedici anni quando dovrebbero iniziare a praticarlo davvero con costanza e motivino tale decisione con il fatto che non riescono a conciliare impegni sportivi ed impegni scolastici.
Del resto se qualche ragazzo (molti, non “qualche”…) lascia lo sport non vendono birre in meno e nemmeno televisori, anzi, forse ne vendono pure di più. Se la nazionale di calcio viene eliminata, invece, vendono molti meno televisori e pure meno birra perché ai telespettatori nelle serate dei mondiali può pure saltare per la testa di andare a farsi una passeggiata invece di vedere alla tv quale squadra va avanti nei mondiali al posto dell’Italia che non ce l’ha fatta.
C’è bisogno di uno sport per i giovani così come c’è bisogno di una scuola per i giovani. Lo sport per i giovani è quello che si pratica tutti i giorni anche se a scuola minacciano di bocciarti perché “Non ti stai impegnando abbastanza…”. Non è che non ti impegni abbastanza è che le cose che studi ti entrano dentro giusto il tempo per superare la verifica e poi escono immediatamente perché la scuola non è impostata in modo vincente, in modo efficace e sai benissimo che ciò che stai imparando difficilmente ti servirà per cambiare la realtà del mondo del lavoro, anzi serve proprio per non provarci nemmeno.
La scuola delle verifiche serve agli adulti che devono dimostrare di aver fatto il loro “compitino” di insegnanti ma non serve agli studenti perché mentre loro si ingolfano di verifiche fuori resta tutto uguale a prima ed incombe una serie di desolanti “Le faremo sapere…” appena si è fuori da scuola.
Una scuola che studia ed evidenzia nei dettagli le clamorose falle di questo sistema del lavoro da fastidio perché non istiga all’obbedienza, può essere addirittura fomentatrice di pericolose idee che possono portare allo scontro sociale. Ma in realtà lo scontro sociale esiste già perché una società che se ne frega dei suoi giovani non è una società evoluta nella quale si vive bene.
Prevenire è meglio che curare e sarebbe proprio il caso che i giovani invece che essere gettati in pasto ad un mondo del lavoro che non funziona, attrezzati solo di una capacità di sopportazione ben allenata in una scuola che già ha mostrato seri problemi di funzionamento, fossero addestrati a risolvere i problemi e a portare il loro contributo determinante per svecchiare quelle istituzioni che non sono più al passo con i tempi.
Occorre uno sport per i giovani, ben diverso da quello che si vede in televisione, che sia fortemente coinvolgente e che dia carica e salute ai giovani che devono aver la forze di trainare la società sonnecchiante.
La riforma della scuola che nasce dal campo sportivo ha molte più possibilità di diventare efficace di quella che nasce sui banchi di scuola perché deve essere fatta a misura di studente e non di insegnante. Non è sostenibile nel terzo millennio l’idea che la scuola funzioni male perché i giovani non hanno voglia di studiare. Non è per niente vero, i giovani hanno fin troppa voglia di studiare solo che si trovano a studiare prevalentemente cose inutili perché chi doveva farsi carico di rinnovare la scuola rendendola adatta ai tempi se n’è lavato le mani.
C’è bisogno dell’impulso dei giovani in tutti gli ambiti, è compito degli adulti trovare le strategie per innescare l’entusiasmo per scuotere questi giovani, lo sconquasso sociale che ne consegue deve essere assolutamente considerato il male minore e se i giovani invece di bersi ore e ore di telefonino al giorno ce lo tirano dietro incolpandoci di aver trovato il metodo per trasformarli in fretta in ottimi consumatori questo è l’inizio di una rivoluzione sacrosanta. Il problema non è che i giovani studiano troppo poco, il problema è che i giovani sono troppo rassegnati e si bevono troppi dei clichet che noi abbiamo lanciato nei loro confronti, dal telefonino alla necessità di studiare due o tre ore al giorno per integrare quanto già sentito a scuola. Dall’idea di mollare lo sport per studiare di più a quella che per avere ottime possibilità nel lavoro devi andare a molti colloqui dimostrando che tu sei pronto per le loro esigenze invece di inventarti qualcosa che dimostri che ormai loro hanno fatto il loro tempo, che tu hai una marcia in più e che se non si evolvono non troveranno più nessuno ad abboccare al loro proverbiale “Le faremo sapere”. In una società evoluta il reddito di cittadinanza serve per i vecchi imprenditori che non riescono ad andare oltre alla logica dello sfruttamento della manodopera perché i giovani ben preparati non hanno bisogno di nessun colloquio. Il lavoro se lo inventano, quello del futuro, non quello del passato.